Truffa e associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di animali da compagnia: 4 persone rinviate a giudizio

Da settembre 2020 a marzo 2022 un pool di investigatori della Squadra Mobile della Questura giuliana, della Compagnia Guardia di Finanza di Muggia, del Nucleo di Polizia Ambientale presso il Corpo della Polizia Locale di Trieste e del Corpo della Polizia Locale di Muggia, coordinato dal Procuratore della Repubblica dott. Antonio De Nicolo e dal Sostituto Procuratore dott.ssa Chiara De Grassi (titolare del fascicolo processuale), ha condotto delle indagini su dei soggetti dediti all’importazione illegale dall’estero di cuccioli di cani in violazione della vigente normativa di riferimento.

Il fenomeno risulta sempre più ricorrente e rappresenta un’importante fonte di reddito per diverse organizzazioni perlopiù operanti nell’est Europa; i cuccioli, nati in quegli Stati esteri, raggiungono l’Italia prima di aver completato lo svezzamento e senza alcuna certificazione sanitaria e d’identificazione. In seguito, attraverso soggetti che si occupano di “piazzarli” sul mercato nazionale, i cani vengono muniti di pedigree contraffatti e quindi ceduti agli ignari acquirenti finali.

Prima di essere immessi nella filiera di vendita, ai cuccioli, generalmente recuperati nelle zone di confine tra Italia e Slovenia, vengono provvisti di microchip e vaccinati; successivamente, per aumentarne il valore di mercato, gli si attribuivano certificati di razza falsi attestanti l’alta genealogia o con indicazioni non veritiere, tanto da far salire il prezzo a svariate migliaia di euro.

Le indagini sono partite da una segnalazione all’Ufficio Zoofilo del Comune di Trieste che, tra luglio e settembre 2020, aveva registrato un’improvvisa e sproporzionata compravendita di cani di razza Barboncino ad opera di alcuni soggetti residenti a Muggia.

Gli accertamenti portavano gli investigatori ad identificare una sessantenne residente a Muggia che, coadiuvata dal figlio e dal nipote, aveva avviato un allevamento amatoriale – non registrato – e, nell’arco di poco tempo, aveva ceduto decine di barboncini. Sfruttando anche le piattaforme online, gli animali venivano venduti in tutta Italia e all’estero a persone disposte a pagare cospicue somme per l’acquisto di un cane di (presunta) razza pregiata.

Nel corso delle indagini, si riscontrava che il volume di vendite dei cuccioli era del tutto sproporzionato al piccolo allevamento domestico e alle reali possibilità di alimentare il mercato attraverso una propria produzione.

Da qui il sospetto di possibili forniture estere, così come successivamente accertato da un’altra un’operazione congiunta dalla Polizia slovena e da quella italiana dell’ottobre 2020, al valico di Crevatini (Muggia). In quell’occasione la Polizia slovena sottoponeva a controllo stradale un cittadino ungherese che aveva stipato nel suo veicolo decine di barboncini corredati da documentazioni anagrafiche e sanitarie contraffatte. Nello stesso momento in territorio italiano e su input dei colleghi sloveni, personale delle forze di polizia identificava il nipote della sessantenne muggesana in procinto di ricevere gli animali dal cittadino magiaro.

Dalle perquisizioni delegate dall’Autorità Giudiziaria, dopo l’acquisizione dei primi elementi nei confronti dei 3 sospettati, venivano rinvenuti e posti sotto sequestro penale numerosi documenti e apparecchi telefonici. In particolare, l’analisi della memoria degli smartphone – grazie a una sofisticata tecnologia -, la scrupolosa disamina dei documenti, l’accesso all’Anagrafe dei Rapporti Bancari ed il successivo sviluppo delle indagini finanziarie, consentivano di ricostruire i flussi di denaro derivanti dalla vendita degli animali e gli importi destinati a soggetti dell’est Europa responsabili dell’approvvigionamento dei cuccioli: gli investigatori appuravano così che, da luglio a novembre 2020, era avvenuta la cessione di una settantina di cani per un guadagno approssimativo di 130mila euro.

Risalivano inoltre ad una quarantenne pisana, titolare di un allevamento di cani in provincia di Pisa, con un ruolo primario nell’attività illecita investigata: la donna teneva i contatti con gli stranieri (tra questi il cittadino ungherese fermato al confine italo-sloveno) e ad essi inviava cospicue somme di denaro, facendo così giungere i cuccioli in Italia. Dopo essere prelevati da persone di fiducia gli animali venivano consegnati alla donna che li muniva di certificati di razza falsi e riconducibili ad un ente serbo affiliato alla Federazione Cinologica Internazionale (FCI). Nello specifico i falsi pedigree venivano compilati spesso a penna (per la parte relativa all’identificazione univoca del cucciolo: microchip inoculato e dati del nuovo proprietario), facendo aumentare grandemente il valore dell’animale: gli ignari acquirenti venivano poi informati sulla possibile trascrizione nei Libri genealogici italiani conservati presso l’Ente Nazionale della Cinofilia Italiana (ENCI) e poter partecipare a manifestazioni ufficiali.

Proprio grazie all’importante collaborazione dei vertici dell’ENCI, emergevano numerose richieste di trascrizione di barboncini con pedigree serbo e microchip italiano; circostanza vietata dal Regolamento internazionale di allevamento della FCI (i cuccioli devono essere registrati nel paese dove sono nati). L’ENCI da parte sua applica norme ancor più stringenti alle richieste di trascrizione, negandole a tutti quei soggetti con pedigree stranieri e microchip italiano.

Da questi progressi l’Autorità Giudiziaria emetteva ulteriori decreti di perquisizione effettuati lo scorso dicembre in provincia di Pisa e Lucca, dove abitavano la titolare dell’allevamento toscano ed altre due persone che, seppur non sottoposte all’indagine, avevano avuto rapporti di collaborazione con lei. Nell’allevamento venivano sequestrate decine di cuccioli di Barboncino privi di sistemi d’identificazione, numerosissimi pedigree serbi precompilati per cani di razza “Barboncino” (in attesa, evidentemente, di essere attribuiti ai cuccioli con microchip italiano), farmaci ad uso esclusivo veterinario, siringhe per inoculazione di microchip esteri (illecitamente detenute, essendo ad uso esclusivo veterinario), alcuni apparecchi telefonici, simcard intestate a soggetti di comodo, documentazione bancaria relativa a bonifici finalizzati all’acquisto di cuccioli e disposti dall’indagata, all’occorrenza anche attraverso dei prestanome in favore di soggetti residenti all’estero.

L’analisi del materiale rinvenuto durante le perquisizioni, permetteva di acquisire ulteriori fonti di prova sulla tratta dei cani, delineando i ruoli dei presunti responsabili. La lunga e complessa indagine ha consentito alla P.M. titolare del fascicolo di emettere un avviso di conclusione indagini a carico di quattro persone: R. R. del ’79, residente in provincia di Pisa, ritenuta essere l’elemento di unione tra i soggetti stranieri e le persone che operavano direttamente in provincia di Trieste (a Muggia, in particolare); M. P. del ’60, residente a Muggia e deputata alla vendita dei cuccioli ai clienti finali; U. M. del ’93, residente a Muggia e figlio di M. P., stabilmente coinvolto nell’attività illecita della madre; M. M., del ’71, residente a Trieste e nipote di M. P., anch’egli pienamente coinvolto nell’attività illecita.

I soggetti identificati nel corso delle indagini – da ritenersi presunti innocenti fino ad un definitivo accertamento di colpevolezza con sentenza irrevocabile – sono stati rinviati a giudizio per i reati di associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di animali da compagnia e truffa continuata (delitto, quest’ultimo, per il quale sono state ricevute 13 denunce/querele sporte da altrettanti acquirenti di cuccioli aventi pedigree contraffatti o, comunque, non trascrivibili al Libro genealogico E.N.C.I.). Gli accertamenti di natura fiscale svolta nei confronti di M. P., hanno consentito di procedere al recupero della tassazione dei proventi di natura illecita, derivanti dalla vendita dei cuccioli (circa 150mila euro di imposte dirette e circa 30mila euro di IVA).